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Lo scorso 9 luglio, con l’Osservatorio Permanente sulla Disabilità – OSPERDI, grazie anche al sostegno all’iniziativa dato dal Sen. Filippo Melchiorre, abbiamo organizzato in Senato un convegno sul tema delle Tax Expenditure, che oggi è divenuto argomento quotidiano, aprendo così il dibattito, allora accennato dal Vice Ministro Maurizio Leo che con alcune sue dichiarazioni alla stampa, ci aveva fornito elementi di stimolo per avviare una riflessione sulla loro natura, il loro numero e sulla necessità di una loro possibile, se non auspicabile, revisione in vista della redazione da parte del Governo della Legge di bilancio che, come noto, dovrà approdare in parlamento per l’esame, entro il prossimo 20 ottobre.
In quella sede tra gli autorevoli relatori del convegno, intervenne il presidente della Commissione Finanze della Camera, l’On. Marco Osnato che, allora, anticipava come non vi fosse intenzione di intervenire sulla sanità o su altre detrazioni a carattere sociale ma che occorre porre mano a quelle spese fiscali divenute improduttive.
Orientamento questo condivisibile e che, siamo certi, comporterà una minuziosa analisi di revisione dei bonus che, come sostiene Osnato sui quotidiani Nazione, Giorno e Resto del Carlino, “sono stati utili ad accontentare settori vicini ad alcune forze politiche e sui quali occorrerà ragionare”. Operazione questa che ci convince e che, ci rendiamo conto, potrà e dovrà essere fatta dai tecnici che vi stanno lavorando, con molta indipendenza di giudizio e obiettività, sulla effettiva capacità delle spese fiscali in esame di essere motore di sviluppo e quindi di produttività in termini di beneficio erariale di ritorno.
Come sappiamo, dai numerosi articoli che si sono succeduti dopo quel convegno e dalle spiegazioni offerte in quella sede dagli esperti presenti, primo fra tutti il Presidente della Commissione per le spese fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, prof. Mauro Marè, le spese fiscali hanno avuto una crescita esponenziale in termini di numero e valore, passando dall’essere 486 nel 2018 alle 625 attuali con un mancato introito per le Casse statali che è passato da 54 a 105 miliardi annui.
Una cifra enorme, che si aggiunge ad altri importi posti a carico della collettività e che sono spesso il frutto di scelte politiche dettate da motivazioni momentanee o elettorali, i cui effetti finanziari si trascinano poi per generazioni aumentando il debito pubblico. Una fattispecie di tali misure, dettate da “motivazioni diverse” ma capaci di mettere in crisi un sistema, ce lo ricorda Valentina Conte che, su La Repubblica del 21 agosto, in un articolo sulle pensioni, richiama le considerazioni da cui è partita la Commissione dei 12 esperti del CNEL, tra cui siede l’esperto Giuliano Cazzola, voluta dal Presidente Renato Brunetta per realizzare un Rapporto al Governo sulle pensioni, in vista forse di una possibile riforma capace di dare stabilità e garanzia di tenuta al nostro sistema pensionistico. Infatti, tra lo squilibrio che si sta registrando tra forza lavoro attiva, chiamata a sostenere il nostro sistema pensionistico condizionato anche da un calo demografico che sembra inarrestabile e il numero delle prestazioni che invece in prospettiva è destinato a sopravanzare il numero dei lavoratori, i bilanci dell’INPS sono a rischio e, a finire sul banco degli imputati è proprio la salviniana Quota 100 e le altre quote volute in deroga alla Legge Fornero, tanto da far dichiarare a Giuliano Cazzola sullo stesso quotidiano, che la stagione delle Quote è “morta e sepolta” e, a ben vedere, l’articolo di Valentina Conte ci ricorda anche di come le “Quote sono già costate 40 miliardi in 5 anni e hanno zavorrato il bilancio pubblico di 4 decimi di punto di PIL ogni anno”.
Se poi a questa “zavorra” dettata dalle estemporanee “Quote” (ma quante zavorre abbiamo in Italia?) aggiungiamo altri effetti, tra tutti quelli del Superbonus Giallo-Verde la cui spesa è uscita fuori controllo per tanti motivi, non possiamo che esprimere il nostro plauso alla volontà di una revisione della spesa fiscale come prospettata dal Presidente Marco Osnato nelle sue dichiarazioni attuali.
Sia ben chiaro però che la spesa fiscale non è da considerare un “vuoto a perdere” ma anzi, se ben programmata e calibrata, diviene uno dei pilastri fondamentali per sostenere il “welfare state” e, più in generale, anche tutte quelle categorie produttive cui giustamente è destinata.
La sua riprogrammazione, a nostro avviso, dovrà necessariamente ricercare anche quel giusto equilibrio tra gli effetti sociali positivi per le categorie più fragili e le genuine ragioni tributarie e, nel ripensare il sistema dei bonus, come Osservatorio Permanente sulla Disabilità, ci permettiamo di suggerire di volgere lo sguardo prioritariamente verso le famiglie numerose e a basso reddito, verso le giovani generazioni, favorire e sostenere l’assistenza agli anziani non autosufficienti, le persone con disabilità e i loro caregiver familiari, facilitare la conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa.
Queste sono le categorie “fragili” che hanno la necessità di sentire fortemente al loro fianco, la presenza e il sostegno “confortevole dello Stato” anche, ma non solo, attraverso una spesa fiscale ripensata in chiave di sostenibilità e sempre più socialmente orientata.
Ed allora, se volgiamo lo sguardo alle categorie più fragili tra quelle sopra citate, anziani non autosufficienti e persone con disabilità, possiamo tentare di elencare, almeno in sintesi, le spese fiscali che impattano direttamente sulla loro vita.
Tra le 625 spese fiscali attualmente “vive”, diverse sono quelle destinate alla disabilità. Tra queste occorre distinguere tra le misure che riducono direttamente le imposte dovute in caso di disabilità, le misure che riducono le imposte dovute in caso di disabilità attraverso la riduzione del valore dell’ISEE, che peraltro agisce anche sul diritto a sussidi e altri benefici, ove previsi, in base a tale indicatore (le prestazioni assistenziali o previdenziali erogate per disabilità sono escluse dall’ISEE e che il valore dello stesso è ridotto attraverso la scala di equivalenza considerata nel calcolo che viene aumentata quando ci sono disabili) e infine le misure agevolative a sostegno del settore che eroga servizi assistenziali (ad esempio quelle destinate a Enti sociali, di promozione sociale, attività umanitarie, Onlus, etc.).
Sono dunque 24 le misure afferenti alle prime due categorie sopra citate, sebbene qualcuna di esse abbia raggiunto il proprio limite di spesa o abbia esaurito da tempo il proprio ciclo di vita (tra tutte si ricorda il credito d’imposta, nel limite massimo complessivo di 1,5 milioni di euro per l’anno 2022, che era destinato alle spese sostenute per la fruizione di attività fisica adattata) o ad altre spese che sono terminate o termineranno nel 2025 ma i cui effetti si trascinano per tutto il triennio 2024-2026, mentre altre ancora non risultano essere nemmeno quantificabili per l’impatto che producono in termini di minor gettito, come ad esempio l’esenzione dall’IRPEF dell’Assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli che varia in relazione all’ISEE e alla disabilità. Queste misure complessivamente peseranno sul debito pubblico, nel triennio 2024-2026, ben 44.107,4 milioni di euro e di queste 17 sono destinate alle persone fisiche per un importo previsto delle detrazioni pari a 41.911,6 milioni di euro, le restanti che ammontano ad una previsione di spesa per 2195,5 milioni di euro, sono invece destinate ad una pluralità di soggetti non necessariamente persone fisiche.
Tuttavia, queste spese, che rappresentano il 42 per cento di quei circa 105 miliardi di euro di spesa fiscale complessiva, non sono da intendere come improduttive ma come spese necessariamente a carico della collettività perchè finalizzate a dare corpo e sostanza al dettato Costituzionale che prevede diverse garanzie per le persone anziane non autosufficienti e i disabili, in modo da assicurare loro i diritti fondamentali e una assistenza adeguata.
In tal senso appare chiaro che è necessario, non solo un mantenimento delle spese fiscali come sopra sinteticamente indicate sulla base dei dati erariali disponibili, ma come sia auspicabile, una più puntuale razionalizzazione volta anche ad incrementarne il loro valore, là dove strettamente necessario, per dare maggiormente corpo e sostanza al dettato costituzionale.
Questa potrebbe essere la volta buona per mettere il sistema delle spese fiscali in sicurezza efficientandolo. Le premesse sembrano esserci.
* Componente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Permanete sulla Disabilità – OSPERDI